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vista, vedevo le cose di sempre in un altro modo, in una
luce diversa. Ho avuto la sensazione di ricominciare a
vivere veramente in quell'istante.
Mi sono rasato i capelli a zero, me li ha tagliati Sadi
con la macchinetta. Volevo iniziare a vivere e quello mi è
sembrato un modo simbolico per ricordarmelo. Non sapevo
quanto mi sarei fermato a Capo Verde. Non pensavo
di stabilirmi lì per il resto della vita; sicuramente prima
o poi sarei tornato a casa, ma in quel momento non
era importante sapere quando. Non avevo ancora affrontato
le mie paure, ma l'esperienza con Tina aveva
sbloccato qualcosa. Magari dopo qualche tempo sarei ripiombato
nelle mie ansie, ma ora non era importante, in
quei giorni volevo vivere quella meravigliosa sensazione.
Tutto il mio sentire era amplificato. Ogni mattina,
quando mi svegliavo all'alba, assaporavo il silenzio, il
meraviglioso calore che ha il sole appena sorto. Lo sentivo
sulla pelle come la carezza di un amico. Il suo tocco
era delicato. Spesso facevo colazione e poi, sempre solo,
una bella camminata al mare. Quando tornavo dalla
passeggiata per iniziare a lavorare mi sembrava che fosse
già passato un sacco di tempo. Al mattino alle nove
mi pareva di avere già respirato una giornata intera.
Pensavo, passeggiavo, contemplavo. Vivevo bene. La sera
a letto leggevo. Andavo a dormire volentieri, mi svegliavo
volentieri. Prima di andare a Boa Vista ogni mattina
per alzarmi usavo il cellulare insieme alla sveglia, e
pigiavo il pulsante "ripeti" per farlo risuonare dopo cinque
minuti. Mi violentavo per mezz'ora facendolo squilllare
ripetutamente. Spegnevo e mi riaddormentavo con
il cellulare in mano. Un vero supplizio. Mi ricordo che
con Fede spesso ci facevamo lo scherzo, quando uno andava
a casa dell'altro, di cambiare l'orario alla sveglia in
modo che suonasse prima. Una mattina stavo per uscire
di casa pensando che fossero le otto e mezzo, ma fuori
era ancora troppo buio: ho controllato ed erano le sei e
mezzo. Quante volte a causa di questo scherzo idiota
che ci facevamo ho sperato, svegliandomi, che me lo
avesse fatto nuovamente. Così avrei potuto dormire ancora
un po', invece scoprivo che l'orario della sveglia era
reale. Peccato.
Se devo essere sincero, anche addormentarmi era diverso.
Prima mi capitava spesso di non riuscire a prendere
sonno anche se ero molto stanco. Magari ero sul
divano o a tavola e non ce la facevo a tenere gli occhi
aperti, poi andavo a letto e mi svegliavo. A Boa Vista
non avevo mai problemi a dormire; a volte addirittura
sembravo una bambola, una di quelle che quando le
sdrai chiudono gli occhi automaticamente.
Vivere è stata la medicina del primo periodo, anche se
era ovvio che non sarebbe bastata; ma all'inizio avere i
miei tempi, passeggiare senza fretta, ascoltando il mio
passo, mi ha aiutato a eliminare i piccoli tormenti. Diventavano
effimeri. Affrontavo ogni cosa in maniera diversa.
Tutto aveva un valore differente. Ero più attento.
Trovavo la felicità nel concedermi del tempo per pensare,
per ascoltarmi e per ascoltare. Prima facevo continuamente
cose per distrarmi da me e dalla mia vita, invece
ora facevo il contrario. Appena potevo scappavo
subito da me, e godevo della mia compagnia, dei miei
pensieri e delle mie domande. Mi sentivo come se mi
fossi fidanzato.
Mi aiutava molto scrivere e leggere. I libri erano quelli
di Federico. A volte trovavo frasi sottolineate da lui e
le vivevo come se fossero delle parole che diceva a me.
La prima frase sottolineata da Federico che ho letto me
la sono imparata a memoria: "È ricercando l'impossibile
che l'uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro
che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro
come possibile non hanno mai avanzato di un solo passo".
Erano parole di Bakunin.
Rimanevo volentieri da solo in silenzio. Il silenzio è
stato uno degli incontri più affascinanti e misteriosi di
quel periodo, tanto che ancora oggi non posso più farne
a meno. Il silenzio è una delle abitudini della mia nuova
vita. Perché è stato il silenzio, la relazione intima con la
natura e la sua contemplazione, a regalarmi l'incontro
con una parte di me. Quella con cui mi sono fidanzato.
È stato il suo suono, la sua voce, la sua delicata melodia
a portarmi nel regno dei significati. Fino a insegnarmi
che potevo galleggiare sui silenzi profondi e lasciarmi
trasportare liberamente, senza fatica, da una forza misteriosa
che cominciavo a riconoscere in ogni cosa. Nelle
ore della mattina o della notte, quando tutti i suoni si
placavano, il silenzio diventava ogni giorno un'affascinante
proposta, diventava infinite possibilità di essere.
Il silenzio diventò un premio. Non era più assenza, ma
abbondanza. I giorni scorrevano, come i tramonti che
sembrano simili ma ogni volta danno un'emozione diversa.
Stavo bene. Bene nel profondo. Pensavo a Fede e
lo sentivo sempre lì con me. Sophie mi ha regalato anche
qualche maglietta e un paio di calzoni corti di Federico.
Ora avevo lui addosso.
Prima ero una persona spaventata. Avevo paura perché
non vedevo. Ero come un bambino che passeggiava
in una stanza buia. Adesso tutto era più chiaro: c'era luce,
c'era amore. Ho imparato che il contrario dell'amore
non è l'odio. L'odio è assenza d'amore, così come il buio
è assenza di luce. L'opposto dell'amore è la paura. Per la
prima volta nella vita non avevo paura o, meglio, avevo
imparato a fare in modo che la paura non mi dominasse.
Dal momento che avevo riconosciuto le mie angosce, esse
avevano iniziato a perdere il loro potere su di me. Prima
mi sembrava di poter fare solo poche cose nella vita.
Adesso le possibilità mi sembravano infinite. La mia vita
era sconfinata. La mia famiglia non erano più solamente
i miei parenti, ma ogni essere umano che incontravo, come
Sadi. E con loro riuscivo a essere una persona migliore.
Come mi aveva detto Federico.
***
Capitolo 16.
Una nuova vita. Anzi, due.
Una sera di quei giorni ho scritto: "Qui la notte è buia
veramente, non come in città. Tutto è silenzioso, ci sono
solo piccoli rumori. Sono in casa con la porta aperta. È
talmente silenzioso, qui, che sento il rumore del mare e
di ogni oggetto che sposto e tocco. Le tazzine, il cucchiaino,
i bicchieri. Lontano si sente un cane che abbaia
e in sottofondo c'è sempre un tappeto di grilli che rendono
tutto assolutamente romantico. Ovunque appoggio
il mio sguardo trovo sempre una cosa che mi piace.
Sono circondato dalla bellezza. La luce soffusa dell'abat-jour
in fondo alla stanza, le tende bianche che si
muovono con il vento, il tavolo di legno, la fiamma delle
candele, la caraffa trasparente dell'acqua e le goccioline
esterne che la percorrono. Qualche minuto fa sono
uscito. Si vedevano le stelle. Palpitavano. Quando ero
piccolo mio nonno mi aveva detto che di notte Dio metteva
una coperta fra la terra e il sole per farci dormire e
che le stelle erano la luce che passava dai buchini della
coperta. Da allora non c'è stata mai una volta che guardando
il cielo la notte non ci abbia pensato. E sempre ce
n'era una che lampeggiava e si spostava.
"Sento una quiete nel cuore. La vita mi attraversa e
mi accarezza in ogni mia cellula. Sono acceso. In queste
notti buie ho spesso trovato pensieri di luce. Un saluto
sale dal profondo di me a cercare Federico."
Ho posato la penna, ho chiuso il taccuino e ho fatto
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